da Il Manifesto del 6/11/2021
di Alessandra Pigliaru
Un buon uso della vita, che sembra rintoccare come uno speciale mantra in tempi cupi, è il titolo dell’ultima silloge poetica di Gabriella Musetti (Samuele editore, pp. 87, euro 12). Punto importante del percorso della poeta e critica di origini genovesi ma che risiede da anni a Trieste, di cui nella prefazione firmata da Chiara Zamboni vengono rintracciati, con finezza, alcuni fili conduttori.
Al principiare della raccolta, ci sono moltitudini suscettibili di chi abita il mondo, donne che conducono una esistenza solo in apparenza ordinaria, senza disporre più del proprio futuro. Accade loro di morire, come se l’andare via da questa terra fosse un’eventualità mai preventivata. Così, apprendiamo, «lei» è molte, ed è morta di mattina o al supermercato, «con la luna storta», «sopra un cuscino estraneo», seduta in classe, «mangiandosi da dentro» oppure «pezzo a pezzo».
IL MARGINE è al di qua di una esistenza, franta e somigliante alla «illocalità della scrittura» quando ci forsenniamo sul precipizio di un’origine e poca attenzione prestiamo alla solitudine presente. Le storie infatti, scrive Musetti, «sono all’inizio / tutte uguali / nasci da un ventre aperto / dal buio vedi la luce / ma subito la storia cambia / secondo il luogo lo status / il modo e l’accoglienza / non c’è una regola prescritta / uguale a tutti / ognuno trova a caso la sua stanza / chi bene – felice lui o lei – chi / con dolore».
Ed è su questo elemento, il dolore, che si staglia la seconda parte del libro, quella in cui alla manutenzione dei sentimenti (per citare un brillante e precedente lavoro di Musetti) si configura la scelta deliberata di uscire di scena. Aprono alla genealogia i nomi di Sylvia Plath, Virginia Woolf, Marina Cvetaeva, Amelia Rosselli, Ingeborg Bachmann, Gaspara Stampa, Saffo, Alfonsina Storni, Antonia Pozzi, scrittrici che – lo segnala nella breve nota al testo conclusiva – «sono state luogo di pensiero e di trasformazione per le altre».
Tante e diverse fanno capolino da un altro libro prezioso; si tratta di Il canto dell’altalena. L’oscillazione della figura tra il gioco e il mito (seguito da La tela di Penelope), di Anna Maria Farabbi (Pièdimosca, pp. 172, euro 15). In un atlante immaginifico, la poeta e scrittrice perugina che riconosce la propria nascita interiore a Montelovesco, «a un palmo da Gubbio», colloca Tiresia, le Sirene, Penelope, Antigone, Cassandra e Medea ma anche Circe e Calipso. In questo lavoro notevole, la parola sapiente di Farabbi si interroga a partire dal proprio io, definito «matrioska e femmina» che contiene Diotima, Saffo e Christine de Pizan, «coro di maestre nel pensiero della differenza, altro da una cultura logocentrica, androcentrica» di cui parla nella lettera in apertura del volume destinata a delle giovani interlocutrici.
SE LA POESIA È UN CANTO, legata com’è all’oralità, l’acribia linguistica di Farabbi rende le sostanze-lieviti di cui è composto il dialetto, radici minerali vegetali e animali in cui ancora confessa di crescere. Il gioco d’infanzia del titolo è infatti visione di «ripetizione cerimoniale», c’è un’equazione tra le corde dell’altalena e la poesia che l’autrice intende «accordare».
Se il suono fa parte del dire, è seguendo l’indicazione di quei nomi magistrali che Farabbi precisa: «Lavoro il filo / per la necessità di abitare il mio corpo / in un punto interiore / da cui tessere un ordine preciso; / espressione organica / poema camminabile / trappola per chi non sa leggere / l’origine e l’orizzonte del segno». È anche questa l’impuntura per un buon uso della vita. Persuase che la sparizione ha una permanenza d’amore nella scrittura di altre donne, sia la morte o il ricordo disseppellito del «volo senza ali» di una bambina.
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La via biologica del canto
in collaborazione con Settepiani
INFORMAZIONI PER IL CORSO NEL 2022
𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐚 𝐛𝐢𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨
colloquio corale
con Anna Maria Farabbi
autrice di 𝘐𝘭 𝘤𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘭𝘵𝘢𝘭𝘦𝘯𝘢
(Al3vie pièdimosca edizioni, 2021)
esperienza interdisciplinare
dal suono ai significati della parola
attraverso le profondità dell’io e la coralità del non
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di Paolo Gera
… Il canto del poeta non può essere compreso da tutti. Voglio riferirmi a questo punto al nuovo libro di Anna Maria Farabbi, “Il canto dell’altalena-l’oscillazione della figura tra il gioco e il mito”, edito ora da piédimosca e Al3viE, e arrischiarmi a confrontare Braibanti con un personaggio del mito da lei evocato: Tiresia. Due sono le figure legate al dono della poesia come canto: Orfeo e Tiresia, ma “mentre Orfeo affascina, Tiresia è esemplare nella sua magrezza verbale incorruttibile” (ibid. p.52) “Tiresia sostiene il peso della solitudine” (ibid., p.52). Entrambi scrive , Anna Maria Farabbi, hanno in sè come poeti la deità, “Tiresia la rivela in una povertà narrativa, scorticata, lineare”(p.53). Tiresia/Braibanti ha dentro una saggezza accecante e una possibilità di previsione che gli altri, sgomenti, non riescono a comprendere. Tiresia è un personaggio dell’Edipo re di Pasolini ed è facile a questo punto far scattare un processo di comparazione fra i due intellettuali italiani, nel loro non assoggettarsi al potere e in una lingua profetica tanto chiara da risultare oscura a chi fosse già assordato dalla neolingua della comunicazione ufficiale. Quello che Farabbi scrive per Orfeo e Tiresia, io lo riporto per loro: “In entrambi, nessuna quiete, mai, né integrazione con re e popolo.”(p.53)
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UMBRIA LIBRI 2021
Presentazione del libro Il canto dell’altalena. L’oscillazione della figura tra il gioco e il mito di Anna Maria Farabbi
Sabato 9 ottobre presso la Biblioteca Mario Marte, Sala Periodici alle ore 16:30
Intervengono l’autrice e le editrici Costanza Lindi, Raffaella Polverini, Elena Zuccaccia
pièdimosca edizioni e Al3vie edizioni
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