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IO NON POSSO FAR ALTRO CHE CANTARE: LA POESIA DI ALDO BRAIBANTI

di Paolo Gera

… Il canto del poeta non può essere compreso da tutti. Voglio riferirmi a questo punto al nuovo libro di Anna Maria Farabbi, “Il canto dell’altalena-l’oscillazione della figura tra il gioco e il mito”, edito ora da piédimosca e Al3viE, e arrischiarmi a confrontare Braibanti con un personaggio del mito da lei evocato: Tiresia.  Due sono le figure legate al dono della poesia come canto: Orfeo e Tiresia, ma “mentre Orfeo affascina, Tiresia è esemplare nella sua magrezza verbale incorruttibile” (ibid. p.52) “Tiresia sostiene il peso della solitudine” (ibid., p.52). Entrambi scrive , Anna Maria Farabbi, hanno in sè come poeti la deità, “Tiresia la rivela in una povertà narrativa, scorticata, lineare”(p.53). Tiresia/Braibanti ha dentro una saggezza accecante e una possibilità di previsione che gli altri, sgomenti, non riescono a comprendere. Tiresia è un personaggio dell’Edipo re di Pasolini ed è facile a questo punto far scattare un processo di comparazione fra i due intellettuali italiani, nel loro non assoggettarsi al potere e in una lingua profetica tanto chiara da risultare oscura a chi fosse già assordato dalla neolingua della comunicazione ufficiale. Quello che Farabbi scrive per Orfeo e Tiresia, io lo riporto per loro: “In entrambi, nessuna quiete, mai, né integrazione con re e popolo.”(p.53)

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UMBRIA LIBRI 2021

Presentazione del libro Il canto dell’altalena. L’oscillazione della figura tra il gioco e il mito di Anna Maria Farabbi

Sabato 9 ottobre presso la Biblioteca Mario Marte, Sala Periodici alle ore 16:30

Intervengono l’autrice e le editrici Costanza Lindi, Raffaella Polverini, Elena Zuccaccia

pièdimosca edizioni e Al3vie edizioni

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Anna Maria Farabbi ne “Il canto dell’altalena” dentro il mito alternativo

Da la Voce di Mantova di Marco Molinari

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“Il Mito è la radice del Canto”. Un breve dialogo con la poetessa Anna Maria Farabbi

da Poesieeletteratura.it di Francesca Rita Rombolà

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Il canto dell’altalena

di Francescao Roat su LeggereTutti

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LETTURE/ “Il canto dell’altalena”: l’altrove mitologico di Annamaria Farabbi

di Francesco Roat da Il sussidiario.net

“Il canto dell’altalena” di Anna Maria Farabbi: i nostri giochi si riflettono nei miti, e viceversa. Un viaggio alla ricerca della loro radice

Il 2021 per Anna Maria Farabbi – poeta, narratrice, saggista – è risultato all’insegna d’un tris di pubblicazioni. L’autrice ha infatti dato alle stampe due testi: in primo luogo un saggio, Il canto dell’altalena. L’oscillazione della figura tra il gioco e il mito (pièdimosca edizioni), nonché la riproposta di un’intervista col non-vedente John M. Hull, dal titolo Il significato del buio (Terra d’ulivi edizioni); ma al contempo, sempre quest’anno, è uscita una bella monografia di Milena Nicolini su di lei: L’uroboro nell’opera di Anna Maria Farabbi (Rossopietra edizioni), con particolare attenzione all’ultimo scritto della poliedrica scrittrice umbra.

Quantunque i tre libri siano parimenti notevoli, intendo qui rivolgere la mia attenzione al Canto dell’altalena, dove viene operato un collegamento tra i più tradizionali giochi infantili ed i miti, tenendo conto che non solo in entrambi detti ambiti paradigmatici sono presenti narrazioni/figurazioni le quali non mutano (o quantomeno, nel trascorrere del tempo, subiscono appena variazioni non sostanzialmente significative), ma soprattutto evidenziando che tali mondi paralleli propongono modelli o strategie comportamentali a cui attenersi e la cui inosservanza implica esclusioni e veri e propri exitus: siano essi dal gioco, dal contesto culturale condiviso, e persino dall’esistenza.

I giochi ‒ sempre corali/collettivi e mai individuali/narcisistici ‒ ai quali si accosta la narrazione e riflessione della Farabbi adulta sono quelli esperiti dalla Farabbi bambina nel paese appenninico di Montelovesco, luogo per lei ‒ nata in città ‒ in cui ebbe la fortuna di imparare “dalla terra, dalle bestie, dai contadini, dai pastori, dalle forme del cielo che lassù mi precipitavano improvvisamente dentro gli occhi o tra i piedi”. Ed è giusto alle “lingue” di detta realtà “minerale vegetale animale” che l’autrice ancora fa riferimento, sentendosene parte integrante. Quanto alla radice comune dei due temi esplorati, è l’immagine polisemica della figura ad essere colta qui come minimo comun denominatore. “Gioco e mito sorgono da uno stesso fulcro basato su figure che nei secoli vengono assorbite, trasmesse, ereditate, fluendo nell’alveo profondo dell’inconscio collettivo”.

I miti vennero creati da degli uomini, e i personaggi principali che li abitano sono perlopiù maschili, in ossequio al patriarcato dominante di cui risultano espressione, ma sono le deuteragoniste femmine a interessare maggiormente la Farabbi, che si sofferma su Penelope, Circe, Antigone, Medea, Cassandra, Tiresia (poi spiegherò il perché di questa scelta, solo in apparenza discordante), nonché sulle sirene. Intorno a Penelope la scrittrice, nel 2003, aveva già pubblicato un breve saggio (peraltro ripresentato oggi in appendice al Canto dell’altalena) e su di essa ritorna, mettendo ulteriormente a fuoco tale figura esemplare di donna (in primo luogo signora e padrona di se stessa, oltre che sovrana) e ripercorrendone il cammino d’individuazione – svolto attraverso un’erranza solo a prima vista statica – espressivo di un “andare” verticale (opposto e speculare a quello orizzontale di Ulisse) che avviene esclusivamente dentro “la propria terra interiore”.

Accanto alla regina di Itaca, la Farabbi si sofferma pure su Circe: figura dell’erotismo femminile più penetrante e “arcano”, per la quale amare è “ricevere il meglio dall’altro e lasciarlo andare” senza alcuna velleità di possesso, come fa la maga quando Ulisse decide di abbandonarla. Ancora, sono le anticonformiste Antigone e Medea ad essere celebrate. La prima per il suo coraggioso/pietoso rifiuto di opporsi alla legge disumana di Creonte che vuole rimanga insepolto il corpo di Polinice, fratello della donna, reo di aver tradito la propria polis. La seconda, vittima anch’essa della tracotanza maschile, che pur divenendo assassina dei suoi figli ‒ ma solo per sottrarli, dice bene Anna Maria Farabbi, ad “un futuro infamante che li avrebbe offesi, mortificati, esiliati, perseguitati, estinti dalla faccia della terra” ‒ merita tutta la nostra compassione/comprensione.

Non da ultimo la profetessa Cassandra ‒ accostata qui alla figura speculare dell’indovino Tiresia, per sette anni trasformato in donna causa un atto sacrilego e dunque anch’egli femminile nell’animo ‒: colei che osò rifiutarsi ad Apollo, ovvero al potere maschile, e venne punita attraverso un ostracismo sottile, quello di non venir più ascoltata da nessuno, per quanto verace. Infine le sirene, considerate nell’immaginario collettivo fascinose ma temibili seduttrici: sorta di aliene dai poteri inquietanti. Tuttavia l’autrice si ribella al banale stereotipo a cui sono sempre state costrette queste figure mitologiche, quasi invitandoci a considerare non quale esca mortifera il loro canto, ma quale occasione per una metànoia profonda, per un’apertura all’inaudito, alla abdicazione egoica, alla ri-nascita spirituale e al mistero.

Non manca in questo libro davvero coinvolgente ‒ tramato mediante una scrittura ora narrativa, ora filosofica, ora poeticissima ‒ una riflessione sull’altalena, che può esser colta come gioco e insieme come archetipica figurazione mitologica. Gioco non tanto autoreferenziale/solipsistico bensì espressivo d’uno slancio gratuito, senza meta, e di una disponibilità all’aperto, per dirla con Rilke. E in parallelo immagine mitopoietica, se ospite dell’altalena è la Grande Dea dell’antica civiltà cretese ‒ vedi la statuetta d’argilla che così la raffigura nel museo di Heraklion ‒ a simboleggiare equilibrio, levità, energia creativa, volo.

Su tutto ciò lascio ora la parola ad Anna Maria Farabbi, affinché il lettore possa gustare da subito qualche riga del suo testo mirabile: “L’oscillazione dell’altalena: è uno spicchio di spirale. Non è uno spicchio di cerchio. La curva di oscillazione è asimmetrica, aperta, generata da un punto infinitesimo, interiore, intimo, che possiamo chiamare origine o polo. L’ospite dell’altalena ondeggia, partecipando alla creazione in una curva cullante, conciliante, energetica e armonica, governando la sospensione e l’esercizio fisico e psichico dell’equilibrio, nelle dinamiche ritmiche della spirale che la trascina e attraversa. L’esperienza dell’altalena genera una sensazione né di benessere né malessere, ma di uscita dal quotidiano, dal mondo, colmati dentro un flusso spazio temporale che proietta altrove, in un non pensiero, non persi, non in trance, ma altrove, in un volo rasoterra”.

https://www.ilsussidiario.net/news/letture-il-canto-dellaltalena-laltrove-mitologico-di-annamaria-farabbi/2222307/

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“Il canto dell’altalena”, il nuovo lavoro di Anna Maria Farabbi

da I tesori dell’Umbria

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UN PROGETTO EDITORIALE una coedizione tra Al3viE e Pièdimosca edizioni

da LoStrillo.it

Un progetto ricco, unico, speciale che coinvolge le due realtà editoriali guidate da tre donne e la stessa autrice Anna Maria Farabbi all’insegna della collaborazione, dell’unione e della condivisione delle proprie esperienze, dei valori e di una conoscenza che necessita comunque sempre di un costante lavoro, attento e minuzioso, nel proprio viaggio personale e professionale per accogliere e riconsegnare all’altro, agli altri. L’opera, con una scrittura narrativa mantenuta sempre in tensione e in accento lirico, attraversa il pensiero di genere affondando nelle radici dell’occidente. Tra le maglie dei giochi d’infanzia e orchestre figurative del mito, si coniugano dinamiche affini. La lingua nei suoi ritratti fonetici e semantici è illuminata fino ai capillari del silenzio. Farabbi ci porta le Sirene, Tiresia, Penelope, Antigone, Cassandra e Medea come costellazioni, rovesciandone i canoni interpretativi.
Al3viE – Pièdimosca
Milena Nicolini ha scritto un importante saggio su Il canto dell’altalena per accompagnare lettrici e lettori in un viaggio che segna la vita della poeta Anna Maria Farabbi nel suo impegno sociale, politico e nel suo essere femminista.
Il link riporta al sito dell’editore Rossopietra. Il saggio può essere richiesto anche ad Al3vie.

https://www.rossopietra.it/2021/08/29/luroboro-nellopera-di-anna-maria-farabbi/


Leggi l’articolo:

http://www.lostrillo.it/showDocuments.php?pgCode=G20I198R36403&id_tema=10

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La mia nota su Louise Michel, tradotta e curata da Anna Maria Farabbi.

di Gisella Blanco

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È che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica, testi di Louise Michel, a cura di Anna Maria Farabbi, recensione di Claudia Nastasi

Anna Maria Farabbi, scrittrice e poeta, propone un’antologia di testi e opere della vita di Louise Michel, la Vierge rouge simbolo della Comune di Parigi. L’esigenza di riportare in primo piano il discorso intorno a questa figura complessa ed estremamente attuale passa attraverso la penna della poetessa umbra e si realizza in un progetto editoriale frutto di uno studio attento e puntuale non solo delle opere ma anche della personalità dell’artista. Anna Maria Farabbi libera Louise Michel da una lettura pressoché legata alla cultura anarchica, riconsegnandola alla conoscenza nella sua interezza. Nel 2017 nasce un’opera antologica dal titolo immediato e prorompente: “è che il potere è maledetto e per questo sono anarchica” edito da Il Ponte Editore. Parole tratte dalla stessa Louise Michel, che rimandano ad un’urgenza comunicativa sul modo di agire e di fare politica oggi, in uno slancio vitale dove l’umanità è il bene primario da difendere, curare e guarire. Il testo ritorna poi nell’officina della Farabbi per essere potenziato, tradotto in francese e inglese, e riedito da Al3vie nel marzo 2021, a 150 anni di distanza dalla Comune di Parigi, in un momento in cui le parole di Louise Michel richiamano la coscienza collettiva all’azione, celebrando un ideale di uguaglianza e armonia universale che coinvolge tutto ciò che esiste.

Vroncourt-la-Côte 1830, Marianne Michel dà alla luce una figlia illegittima avuta dal figlio del castellano per cui lavora. La bambina trascorre però un’infanzia felice, ricevendo un’educazione illuminista e liberale dai nonni paterni, contrariamente alle convinzioni tradizionaliste della madre. La conoscenza di Rousseau e Voltaire accendono in Louise Michel  la passione per la difesa dei diritti umani, inizio di un percorso straordinario, non convenzionale, che la renderanno una delle pioniere del femminismo e dell’educazione moderna. Frequentatrice di ambienti rivoluzionari, si trova a capo di diverse associazioni di stampo socialista e nel 1871 quando nasce la Comune di Parigi, ne diviene una delle protagoniste e combattenti, tanto da guadagnarsi diversi arresti e la deportazione a Satory (luogo particolarmente legato alle fucilazioni dei rivoluzionari della Comune) e in Nuova Caledonia nel 1873. Esperienze raccontate in La Comune del 1898, opera dall’inestimabile valore storico, la quale ci mostra una Louise Michel audace e coraggiosa, riluttante a qualsiasi forma di compromesso con il regime e determinata a difendere con tenacia e onestà la dignità dell’uomo e della donna.

L’opera a cura di Anna Maria Farabbi rappresenta una mappa in grado di guidare il lettore alla scoperta della personalità complessa e articolata di Louise Michel. La ricerca d’identità della donna attraversa stili e generi di scrittura talvolta lontani tra loro (dalla prosa, alla poesia, alla corrispondenza fino ai semplici ricordi e osservazioni) ma che condividono il medesimo obiettivo. La scrittura assume un doppio valore, conoscitivo, narrare sé stessi per creare la propria identità, e rivoluzionario, in quanto strumento politico in grado di raccontare la realtà e agire su di essa. I testi delle opere di Louise Michel vengono così tradotti e assemblati da Anna Maria Farabbi in un rapporto di continuità tra le due donne. L’idea di una scrittura poetico-politica le fonde a distanza di secoli e carica l’opera di un’energia comunicativa nitida e diretta in grado di illuminare il volto di Louise Michel e di esaltarne ogni sfumatura. È proprio il volto a trovarsi al centro della riflessione della poetessa, un’immagine carica di significati e portatrice di esistenze multiple che quel volto hanno incontrato. L’atteggiamento energico e il portamento fiero e deciso sono tratti della forte identità di Louise Michel, identità che nasce prima dell’esaltante esperienza della Comune e che si imprime con forza già in gioventù quando nella corrispondenza intrattenuta con Victor Hugo, eletto a maestro dalla giovane, racconta delle origini del suo concepimento con lucidità e orgoglio, al tempo in cui il tema della paternità illegittima era una realtà sociale taciuta.

Sono presenti alcuni nuclei tematici che forniscono all’opera una certa organicità, imperativi etici e morali che sono alla base della scrittura di Louise Michel, cuciti con parole dirette e secche, talvolta a svantaggio di una certa raffinatezza stilistica. La parola non è strutturata, il ritmo è veloce perché legato ad un tempo interiore dinamico e vivo, sintomo di un coinvolgimento intenso nei confronti del presente. I temi affrontati rispondono ad una esigenza reale e imminente che si traducono in uno stile diretto e immediato che esalta la funzione comunicativa della scrittura. La scrittura è, inoltre, legata alla musica, elemento che occupa un posto privilegiato anche nella riflessione didattica di Louise Michel.

Tra i temi rintracciabili si individuano riflessioni sull’insegnamento e la didattica, sulla criminalità e la devianza (dalle carceri, alla prostituzione alla malattia mentale), sulle condizioni e i diritti dei lavoratori, con particolare attenzione al mondo delle donne in un’ottica dichiaratamente femminista. La voce di  Louise Michel si erge a difesa di una società laica e tollerante, libera dalle interpretazioni delle istituzioni politiche e religiose, incoraggiando le coscienze e invitandole all’azione. A tale scopo è interessante gettare uno sguardo a queste parole tratte da “Presa di possesso”:

e tu compagno che perdi tempo dietro la cometa filante delle notti fredde, dentro il tuo rovinato grembiule da lavoro o sotto il tuo vestito nero cencioso, che aspetti per prendere il tuo posto di combattimento, non sperare in altra opera né soccorso. Governanti e finanziari hanno altro da fare che occuparsi di te[1].

L’esortazione diventa sempre più pressante e necessaria, incombente. Il risveglio è imminente e il cambiamento inarrestabile. Non resta altro da fare che unirsi e celebrare la trasformazione. L’impegno che Louise Michel dedica alla cura e alla difesa dell’umanità cresce e si rafforza nel lavoro di educatrice.  L’attività di insegnante rappresenta l’opportunità per sperimentare una didattica liberale e laica, all’insegna di quella che oggi amiamo definire inclusione. Per Louise Michel non esiste barriera economica, sociale, di razza o di genere che non possa essere abbattuta. La scuola da lei fondata è una scuola libera, mista, dove i poveri non pagano e siedono ai primi banchi, dove anche i bambini con handicap psichico trovano il loro posto, dove vengono sperimentate metodologie didattiche innovative che sfruttano il valore terapeutico della musica. La fiducia verso l’uomo è totale, non esiste devianza o malattia che possa impedire la comunicazione e la relazione, secondo una conoscenza che passa dal sentire prima e dalla comprensione poi. In tal senso anche il recupero dell’individuo criminale diventa una necessità educativa e sociale. Nel fronteggiare la criminalità è necessario, per l’intera società, pensare ad un percorso di riqualificazione dell’individuo. Il “Libro della prigione, scritto tra 1872  e il 1873 (anno della sua deportazione in Nuova Caledonia), è ricco di spunti e riflessioni a tal proposito, nei quali Louise Michel suggerisce quale metodo per la riabilitazione del criminale la colonia penitenziaria. Essa è da considerarsi non come una galera ma come una famiglia, l’ambiente adatto per la nascita di una esistenza nuova. Louise Michel vive la sua stessa esperienza di reclusione con lucidità e spirito di osservazione senza abbandonarsi ad alcuna commiserazione ego-centrata. L’esperienza della prigione viene raccontata e presentata dai passi di  “Memorie, opera dal complesso valore stilistico, dove piano etico, poetico e epico si fondono in un racconto autobiografico dal forte valore testimoniale.

L’incontro con l’altro e il rapporto con l’alterità sono temi che attraversano tutta la vita di Louise Michel ma che in particolare sono centrali nell’esperienza in Nuova Caledonia. In seguito ad un viaggio durato quattro mesi, giunge nella colonia penitenziaria con animo colmo di rinnovata energia, un viaggio che la avvicina al movimento anarchico e che le permetterà negli anni della sua permanenza di raggiungere una certa maturazione politico-filosofica. Trascorre sette anni di feconda relazione con la popolazione nativa all’insegna di un continuo scambio culturale, a tal punto da guadagnarsi l’appellativo di “sorella” da parte dei Canachi. “Leggende e canzoni di gesta canache offrono una lettura antropologica di questa popolazione, mettendo in evidenza il valore della natura e degli elementi naturali.

Quando arriva l’amnistia Louise Michel può tornare in Francia e riprendere il suo impegno a difesa dei lavoratori e delle teorie anarchiche in tutta Europa.  Un ruolo che si sente di dover rivestire anche e soprattutto perché donna, la più schiava tra gli schiavi. Louise Michel inserisce pertanto nel suo discorso rivoluzionario anche il riscatto di genere, in un’ottica di valorizzazione e liberazione dell’umanità intera:

Ovunque, l’uomo soffre nella società maledetta, ma nessun dolore è comparabile a quello provato dalla donna. Nella via, lei è una merce. Nei conventi, dove si nasconde come in una tomba, l’ignoranza la chiude […]. Nel mondo, lei si flette sotto il disgusto. Nella sua casa, il fardello la schiaccia. […] I nostri diritti noi li abbiamo. Non siamo accanto a voi per combattere la grande guerra, la guerra suprema? Che forse voi oserete fare dei diritti delle donne cosa a parte, quando uomini e donne avranno acquistato i diritti dell’umanità?” [..] Io, donna, ho il diritto di parlare delle donne[2].

Il fuoco acceso da Louise Michel non si estingue ma si alimenta nel tempo e nello spazio, passando di generazione in generazione, che ne raccoglie l’eredità e lo alimenta della propria passione. I mitragliati di Satory cambiano nome e luogo, ma restano e resistono. Ecco allora che leggere Louise Michel ci mette in comunicazione con il nostro passato storico in un’ottica fluida e in continuità con esso. Louise Michel ci consegna la fiducia e la speranza che l’agire del singolo possa essere un’incrinatura nello specchio capace di generare nuove possibilità per l’umanità.

[1] L. Michel, É che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica, a cura di Anna Maria Farabbi, Al3vie, 2021, p. 44

[2] Ivi, p.  141

http://www.lamacchinasognante.com/e-che-il-potere-e-maledetto-e-per-questo-io-sono-anarchica-testi-di-louise-michel-a-cura-di-anna-maria-farabbi-recensione-di-claudia-nastasi/?fbclid=IwAR07ynpZmDGpwMR1x7BZVuBoQFQ2mvThoF-5HsXeF8bMuZng9WELeoTcTvc