“Essere in/segnati dalla poesia”: incontro con le poete Anna Maria Farabbi e Milena Nicolini, attraverso i testi “ninnananna talamimamma” e “Istruzioni per l’uso di ninnananna talamimamma”, martedì 9 aprile al Bologna Children’s Book Fair 2024.
Intervento della poeta Anna Maria Farabbi.
«Io dimoro dentro il canto, io sono il canto. Il filosofo Umberto Galimberti ha fatto una proposta: alla scuola dovrebbe essere riconsegnata come atto formativo la filosofia. Io dimoro nella poesia. Cosa è la poesia e cosa può formare? Cosa è la poesia e cosa è l’atto formativo della poesia? Una persona a me cara, per spiegare cosa è la poesia, ha scelto l’immagine di un uomo che sta sopra una collina e vede passare un treno. Secondo lui la poesia è chi vive il treno andando.
La filosofia è una formazione utilissima in questo momento di caos cannibalico: consente l’esercizio della roteazione del pensiero, l’esercizio della dialettica. La poesia, a mio parere, non è l’omino che sta dentro la prima carrozza in un binario costituito: è invece la persona che crea il viaggio e gli stessi binari del treno, avendone consapevolezza. La poesia è la creazione.
Io propongo di portare la poesia fin dall’asilo nido. È un atto formativo, sociologico, politico, esistenziale, artistico. Pone all’attenzione. Si tratta di riuscire a stare in una tensione. Nella concentrazione. Costruire un centro e stare dentro. Il centro è il canto. Esercita l’ascolto.
La poesia si costituisce radicalmente nell’oralità. Dimorare nel canto, significa dimorare nella poiesis, in una gestione economica del profondo. Esercita in un’economia del verbale. Entra in una nominazione. Nominiamo le azioni della propria interiorità. La poesia permette una formazione sulla differenza tra espressione e comunicazione. Entra in dinamiche arcaiche, profonde.
C’è una grande necessità di portare anche la poesia nella scuola come atto formativo. La filosofia accede ad una razionalità. La poesia si arresta quasi barcollando. Ci sono poeti con un orecchio assoluto. Penso ad Amelia Rosselli, Paola Febbraro.
Nella statistica economica, molti, mi riferisco soprattutto a poete, non ce la fanno per questa disposizione totalizzante al canto. C’è spesso anche un’indipendenza rispetto al mondo dell’editoria.
Porgiamo, dunque, la poesia alla nuova generazione.
Io vengo dalla scrittura per adulti, ma sono nata nella poesia.
Alle presentazioni abbiamo partecipanti dai 50 anni in su. Fino alle elementari in genere c’è una fioritura espressiva e gli insegnanti sono in connessione con l’espressività lirica dei ragazzi. Alle medie, poi, il dirupo.
È necessario vedere quanto la poesia si regge da sola e quanto con l’illustrazione. La nostra è una società consumistica che viaggia in maniera volontaria puntando all’occhio. Anche per questo, lavoro con i ciechi, i sordi, i malati psichici. Noi abusiamo della vista, che a volte va ad estinguere le altre sensorialità. Il sentire inizia nell’utero, attraverso la pelle. Ripartiamo dalla grana della voce e dalla radice orale della poesia. M’interessa il flusso verbale lirico, non edulcorato, sentimentale, anacronistico. Attivo la passionalità intera del mio corpo, certo, perché sono allarmata di una società distruttiva della fioritura del ciliegio. I ragazzi oggi sono spostati da ciò che fluisce in certe poesie loro proposte. Cantare è avere di fronte qualunque creatura, con un registro scrittorio che vale dai 6 mesi ai 600 anni. La ninnananna arresta il battito cardiaco del neonato come dell’anziano. Non serve individuare un registro di lettori. M’interessa una poiesis che abbia anche una vocalità. La gradazione della voce senza ostentazione è frutto di esercizio. Occorre insegnare l’ascolto della poesia, accendere un senso del viaggio, in un gioco, inteso kafkaniamente, in opere d’arte anche cinematografiche (come le creazioni di Miyazaki). La poesia è un’oasi di ricreazione del proprio sé. Incontrando maestri, punti di riferimento, come Gino Strada, Aldo Capitini. Etty Hillesum lancia dal treno, che dal campo di concentramento sa la condurrà alla morte, un foglio con queste parole: lasciamo il campo cantando. Ha un senso, dunque, l’orecchio assoluto. È questione di vita o di morte. Lei porta la sua poesia e dietro le spalle testimonianze d’insegnanti che l’hanno segnata dentro. Ecco dunque la poesia organica. La porto e mi attraversa dalla punta dei piedi alla fontanella cranica. La porto a tutti e a tutto. Il canto interrompe l’essere umano e lo dichiara disabile per non capire tutto. Lo pone di fronte ad una parete verticale.
La filosofia acuisce il pensiero ma la poesia accoglie il pensiero e crea.
Mio padre mi ha tolto la parola, perché la poesia non era utile.
La poesia è nascita, creazione di un ponte. Il canto risponde un impensato e un impensabile. L’immagine sulla copertina di “ninnananna talamimamma” rappresenta la palla gettata da una bambina internata ad Auschwitz. È piena di colori: porta la fiducia nel mondo. Ci chiede di essere ricettivi l’uno nei confronti dell’altro, responsabili di una connessione culturale. La mimamma è anche la grande madre: siamo sempre al cospetto dei futuri e degli antichi. L’origine della poesia è dalla ninnananna. Viene dalla preistoria: è il primo atto delle donne che raccoglievano la voce usata come gesto corporeo di abbraccio e pacificazione del bambino, un flusso trasversale tra la bocca e il bambino. L’origine della poesia è creaturale».
Intervento della poeta Milena Nicolini
«Per fare arrivare alla poesia non si può semplicemente delegare al sentire. La poesia ha anche un suo rigore, un suo linguaggio. L’inconscio è il punto in cui s’incontrano la materia e la parte effimera, lo spirito, con il logos. La poesia sta su quel confine tumultuoso in cui s’incontra la possibilità di dirla. La metafora è quella proporzione zoppa che scatta quando manca la parola per dire quella cosa. Mi permette di dire trasportando in un altro ambito. È la parola che vive del rapporto con l’esperienza. La poesia innesca le possibilità di connessione, di fare rete con la parola. Questa rete non ha termine: è un angolo aperto che va all’infinito. Si tratta di una polisemia, nell’esperire del mondo in modo sempre diverso. La poesia dà la possibilità di conoscere se stessi».
Il seminario avrà luogo sabato 11 novembre dalle ore 9 alle 19 in zona Castello di Serravalle, Valsamoggia (BO). È necessaria la prenotazione al seguente indirizzo: info@al3vie.com. Iscrizioni aperte fino al 5/11/2023. Per avere ulteriori informazioni sulle modalità è disponibile, inoltre, il numero 3384586480 per chiamate o whatsapp
DESCRIZIONE
Ogni ora sarà dedicata a un attraversamento tematico
Ogni attraversamento uno stacco musicale significativo:
9 – 10.15 Il corpo della poesia.
Verticalità, articolazione, il respiro dentro il testo.
10.15 – 11.30 Oralità e nascita della poesia. Fin dentro la preistoria.
La grana della voce acustica dalle radici del silenzio. Le origini della poesia orale: le ninnenanne. La nostra capacità (e la nostra necessità) di ascolto e di accoglimento del fiato sonoro.
11.30 – 13 Ponte relazionale e formativo della poesia.
La voce poetica entra nel plesso solare della creatura che lo riceve, contaminandolo significativamente e emozionalmente. Il significato della creazione.
La mia esperienza con le persone in sofferenza attraverso il mio approccio poetico e il significativo formativo.
PAUSA PRANZO
15 – 16.15 Entrando nel corpo della poesia con il nostro corpo:
calligrafia, corsivo, trascrizione, traduzione, dizione. Il movimento e la consapevolezza della mano e del braccio.
17.45 – 19 00 Figure retoriche e chiavi psicologiche:
entriamo attraverso le leve della poesia nelle nostre dinamiche esistenziali.
Sono previsti ascolti musicali e voci maestre testimonianti. Ogni sezione porterà a un tempo di conversazione e di confronto.
Il seminario è rivolto a ogni tipo di partecipante. Non ha carattere strettamente letterario, piuttosto propone in modo interdisciplinare una riflessione profonda sulla nostra interiorità e sulla propria capacità espressiva nel canto, come forma arcaica artistica. Intende rovesciare l’abituata interpretazione della poesia, proponendo vie di coinvolgimento che nessuna altra arte può suscitare. Il corso è aperto anche a ragazzi e ragazze delle scuole superiori.
Il corso prevede la possibilità di un ulteriore approfondimento su richiesta dei partecipanti.
La lampada ideata e realizzata da Gabriella Malentacchi ha agito da perno nella mia conferenza per i suoi significati del profondo simbolico. In sintesi:
La torsione del corpo, propria del tronco della lampada, evoca lo stato di sofferenza umana nella sua instabilità di equilibrio esistenziale, spirituale, sociale. Le scanalature nel vetro, sono affini a rughe, a nostre cicatrici, violenze subite che tatuano la nostra interiorità oltre la superficie della pelle, Il vetro propone, per sua stessa natura, la fragilità, ma anche l’acustica della sua possibile rottura, e ogni difficoltà di raccolta: il pericolo di essere feriti, tagliati, tra una scheggia e l’altra. La trasparenza propria del vetro richiama di fatto la nostra: ciascuno di noi, sotto nostri vestiti, ha un’identica dimora di organi, oltre a un sangue circolante che stabilisce assoluta fratellanza. Non solo. In ogni nostro corpo esiste un vuoto attraversato da un filo. Il filo che permette la vitalità elettrica della lampada è il filo della nostra connessione con la vita. E’ il cordone ombelicale con la nostra nascita quotidiana.
Il paralume è posizionato al vertice dell’oggetto. Ne è il fulcro. E’ la testa. Eppure ci consegna un cuore rovesciato. La testa è pensare, Il cuore è sentire. Ogni creatura che ha sofferto, ipersensibile, ha un cuore rovesciato. Definitivamente. Essere prossimi a un “cuore rovesciato” significa avere consapevolezza del proprio. E flettersi, con rispetto, non giudizio, sapienza più che conoscenza. Con quell’amore che è esperienza cognitiva, oltre che sensuale, artistica e mistica.
Il compimento della relazione, della cura, sta nell’accensione di quel cuore rovesciato.
Un cuore rovesciato illuminato è illuminante e orienta.
“Un fiammifero nel buio del mito”, dice Anna Maria della sua riflessione su Sirene, Tiresia, Penelope, Antigone, Cassandra e Medea. O forse rovesciarne la lettura, nella poesia, con voce di donna consapevole della differenza e capace di partire dall’io per entrare nell’”origine del canto occidentale”.
Seminario Il canto dell’altalena con Anna Maria Farabbi
Il 7 maggio sarà con noi, nel Giardino delle Beghine, Anna Maria Farabbi, una poeta che da sempre lavora sulla parola in modo originale, lontana dall’accademia e dai riflettori di concorsi e premi. Ha pubblicato molti libri, scegliendo sempre piccole case editrici: raccolte poetiche, libri per bambini, opere per il teatro, saggi.
Alla riflessione sui nodi critici della società, quelli in cui sono visibili la difficoltà e lo scarto rispetto a ciò che si considera “norma” (sordità, anoressia, cecità, mutismo, emarginazione, vecchiaia…), intreccia l’analisi di figure femminili importanti, spesso misconosciute, come Louise Michel o Kate Chopin di cui ha approntato le prime traduzioni in italiano.
Conosce il nostro Giardino e lo considera un luogo di grande importanza, nel quale è possibile l’interazione tra linee di pensiero, con modalità diverse, sempre attente all’approfondimento e al versante femminile con la sua specificità e il suo diverso linguaggio.
Un passaggio del libro di Milena Nicolini sul Canto dell’altalena ci può aiutare a comprendere il versante dal quale muove la voce di questa poeta:
L’autrice torna ad una difficile esperienza che per un anno le tolse completamente la voce, quando comprese nel suo “corpo” cos’era per i muti la normalità quotidiana. Ne fece un “telaio esperienziale”, studiò più a fondo la sordità, il suono, le “profondità dilatabili dell’ascolto”, la meditazione, le “retoriche della parola ‘silenzio’”, la capacità di udire con tutto il corpo fin dall’utero materno.
Per lei stanno qui le “fondamenta della poesia”: non a caso lei la chiama “canto”.
Il suo lavoro sulla lingua non si distingue dalla vita, l’accesso sempre più profondo alla creaturalità della parola va in sincrono col “battito cardiaco”, l’ascolto attento diventa creazione “anche del canto”, ma insegna pure ad ascoltare e imparare il canto degli altri”, ad “ac cordarsi”, perché le voci del coro non si sovrappongono, ma si fanno complementari l’una all’altra “per l’opera”.
Ecco perché la sua poesia è “biologica, organica”, non dà garanzie di salvezza, ma solo “la scaglia nell’animalità, nel vegetale, nel minerale (…) a una via del poco, su cui, e dentro cui, possa accogliere la creazione e sostenerla”.
La poesia unisce chi canta e chi ascolta, attiva le possibilità plurali dell’io, esigendo il ‘tu’ e il ‘noi’, “il canto, prima di essere inchiostro, è vento, oralità: tramanda”. (M. Nicolini, L’uroboro nell’opera di Anna Maria Farabbi, ed. Rossopietra, pp. 54-55).
Penso che questa premessa possa aiutarci a comprendere la postura con la quale stare nel seminario di Anna Maria. Da qui è possibile interagire con lei a partire dalla nostra vita, dalla nostra riflessione e dalle nostre letture. Sulle figure del mito che fanno seguito, nel libro Il canto dell’Altalena, alla memoria dei giochi infantili, ognuna di noi, per vie diverse, ha avuto occasione di leggere, ascoltare e riflettere: Sirene, Tiresia, Penelope, Antigone, Cassandra e Medea.
Il nostro contributo al dialogo sarà prezioso e renderà il tempo che trascorreremo insieme ricco e nuovo.