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“Il canto dell’altalena”, il nuovo lavoro di Anna Maria Farabbi

da I tesori dell’Umbria

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UN PROGETTO EDITORIALE una coedizione tra Al3viE e Pièdimosca edizioni

da LoStrillo.it

Un progetto ricco, unico, speciale che coinvolge le due realtà editoriali guidate da tre donne e la stessa autrice Anna Maria Farabbi all’insegna della collaborazione, dell’unione e della condivisione delle proprie esperienze, dei valori e di una conoscenza che necessita comunque sempre di un costante lavoro, attento e minuzioso, nel proprio viaggio personale e professionale per accogliere e riconsegnare all’altro, agli altri. L’opera, con una scrittura narrativa mantenuta sempre in tensione e in accento lirico, attraversa il pensiero di genere affondando nelle radici dell’occidente. Tra le maglie dei giochi d’infanzia e orchestre figurative del mito, si coniugano dinamiche affini. La lingua nei suoi ritratti fonetici e semantici è illuminata fino ai capillari del silenzio. Farabbi ci porta le Sirene, Tiresia, Penelope, Antigone, Cassandra e Medea come costellazioni, rovesciandone i canoni interpretativi.
Al3viE – Pièdimosca
Milena Nicolini ha scritto un importante saggio su Il canto dell’altalena per accompagnare lettrici e lettori in un viaggio che segna la vita della poeta Anna Maria Farabbi nel suo impegno sociale, politico e nel suo essere femminista.
Il link riporta al sito dell’editore Rossopietra. Il saggio può essere richiesto anche ad Al3vie.

https://www.rossopietra.it/2021/08/29/luroboro-nellopera-di-anna-maria-farabbi/


Leggi l’articolo:

http://www.lostrillo.it/showDocuments.php?pgCode=G20I198R36403&id_tema=10

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La mia nota su Louise Michel, tradotta e curata da Anna Maria Farabbi.

di Gisella Blanco

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È che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica, testi di Louise Michel, a cura di Anna Maria Farabbi, recensione di Claudia Nastasi

Anna Maria Farabbi, scrittrice e poeta, propone un’antologia di testi e opere della vita di Louise Michel, la Vierge rouge simbolo della Comune di Parigi. L’esigenza di riportare in primo piano il discorso intorno a questa figura complessa ed estremamente attuale passa attraverso la penna della poetessa umbra e si realizza in un progetto editoriale frutto di uno studio attento e puntuale non solo delle opere ma anche della personalità dell’artista. Anna Maria Farabbi libera Louise Michel da una lettura pressoché legata alla cultura anarchica, riconsegnandola alla conoscenza nella sua interezza. Nel 2017 nasce un’opera antologica dal titolo immediato e prorompente: “è che il potere è maledetto e per questo sono anarchica” edito da Il Ponte Editore. Parole tratte dalla stessa Louise Michel, che rimandano ad un’urgenza comunicativa sul modo di agire e di fare politica oggi, in uno slancio vitale dove l’umanità è il bene primario da difendere, curare e guarire. Il testo ritorna poi nell’officina della Farabbi per essere potenziato, tradotto in francese e inglese, e riedito da Al3vie nel marzo 2021, a 150 anni di distanza dalla Comune di Parigi, in un momento in cui le parole di Louise Michel richiamano la coscienza collettiva all’azione, celebrando un ideale di uguaglianza e armonia universale che coinvolge tutto ciò che esiste.

Vroncourt-la-Côte 1830, Marianne Michel dà alla luce una figlia illegittima avuta dal figlio del castellano per cui lavora. La bambina trascorre però un’infanzia felice, ricevendo un’educazione illuminista e liberale dai nonni paterni, contrariamente alle convinzioni tradizionaliste della madre. La conoscenza di Rousseau e Voltaire accendono in Louise Michel  la passione per la difesa dei diritti umani, inizio di un percorso straordinario, non convenzionale, che la renderanno una delle pioniere del femminismo e dell’educazione moderna. Frequentatrice di ambienti rivoluzionari, si trova a capo di diverse associazioni di stampo socialista e nel 1871 quando nasce la Comune di Parigi, ne diviene una delle protagoniste e combattenti, tanto da guadagnarsi diversi arresti e la deportazione a Satory (luogo particolarmente legato alle fucilazioni dei rivoluzionari della Comune) e in Nuova Caledonia nel 1873. Esperienze raccontate in La Comune del 1898, opera dall’inestimabile valore storico, la quale ci mostra una Louise Michel audace e coraggiosa, riluttante a qualsiasi forma di compromesso con il regime e determinata a difendere con tenacia e onestà la dignità dell’uomo e della donna.

L’opera a cura di Anna Maria Farabbi rappresenta una mappa in grado di guidare il lettore alla scoperta della personalità complessa e articolata di Louise Michel. La ricerca d’identità della donna attraversa stili e generi di scrittura talvolta lontani tra loro (dalla prosa, alla poesia, alla corrispondenza fino ai semplici ricordi e osservazioni) ma che condividono il medesimo obiettivo. La scrittura assume un doppio valore, conoscitivo, narrare sé stessi per creare la propria identità, e rivoluzionario, in quanto strumento politico in grado di raccontare la realtà e agire su di essa. I testi delle opere di Louise Michel vengono così tradotti e assemblati da Anna Maria Farabbi in un rapporto di continuità tra le due donne. L’idea di una scrittura poetico-politica le fonde a distanza di secoli e carica l’opera di un’energia comunicativa nitida e diretta in grado di illuminare il volto di Louise Michel e di esaltarne ogni sfumatura. È proprio il volto a trovarsi al centro della riflessione della poetessa, un’immagine carica di significati e portatrice di esistenze multiple che quel volto hanno incontrato. L’atteggiamento energico e il portamento fiero e deciso sono tratti della forte identità di Louise Michel, identità che nasce prima dell’esaltante esperienza della Comune e che si imprime con forza già in gioventù quando nella corrispondenza intrattenuta con Victor Hugo, eletto a maestro dalla giovane, racconta delle origini del suo concepimento con lucidità e orgoglio, al tempo in cui il tema della paternità illegittima era una realtà sociale taciuta.

Sono presenti alcuni nuclei tematici che forniscono all’opera una certa organicità, imperativi etici e morali che sono alla base della scrittura di Louise Michel, cuciti con parole dirette e secche, talvolta a svantaggio di una certa raffinatezza stilistica. La parola non è strutturata, il ritmo è veloce perché legato ad un tempo interiore dinamico e vivo, sintomo di un coinvolgimento intenso nei confronti del presente. I temi affrontati rispondono ad una esigenza reale e imminente che si traducono in uno stile diretto e immediato che esalta la funzione comunicativa della scrittura. La scrittura è, inoltre, legata alla musica, elemento che occupa un posto privilegiato anche nella riflessione didattica di Louise Michel.

Tra i temi rintracciabili si individuano riflessioni sull’insegnamento e la didattica, sulla criminalità e la devianza (dalle carceri, alla prostituzione alla malattia mentale), sulle condizioni e i diritti dei lavoratori, con particolare attenzione al mondo delle donne in un’ottica dichiaratamente femminista. La voce di  Louise Michel si erge a difesa di una società laica e tollerante, libera dalle interpretazioni delle istituzioni politiche e religiose, incoraggiando le coscienze e invitandole all’azione. A tale scopo è interessante gettare uno sguardo a queste parole tratte da “Presa di possesso”:

e tu compagno che perdi tempo dietro la cometa filante delle notti fredde, dentro il tuo rovinato grembiule da lavoro o sotto il tuo vestito nero cencioso, che aspetti per prendere il tuo posto di combattimento, non sperare in altra opera né soccorso. Governanti e finanziari hanno altro da fare che occuparsi di te[1].

L’esortazione diventa sempre più pressante e necessaria, incombente. Il risveglio è imminente e il cambiamento inarrestabile. Non resta altro da fare che unirsi e celebrare la trasformazione. L’impegno che Louise Michel dedica alla cura e alla difesa dell’umanità cresce e si rafforza nel lavoro di educatrice.  L’attività di insegnante rappresenta l’opportunità per sperimentare una didattica liberale e laica, all’insegna di quella che oggi amiamo definire inclusione. Per Louise Michel non esiste barriera economica, sociale, di razza o di genere che non possa essere abbattuta. La scuola da lei fondata è una scuola libera, mista, dove i poveri non pagano e siedono ai primi banchi, dove anche i bambini con handicap psichico trovano il loro posto, dove vengono sperimentate metodologie didattiche innovative che sfruttano il valore terapeutico della musica. La fiducia verso l’uomo è totale, non esiste devianza o malattia che possa impedire la comunicazione e la relazione, secondo una conoscenza che passa dal sentire prima e dalla comprensione poi. In tal senso anche il recupero dell’individuo criminale diventa una necessità educativa e sociale. Nel fronteggiare la criminalità è necessario, per l’intera società, pensare ad un percorso di riqualificazione dell’individuo. Il “Libro della prigione, scritto tra 1872  e il 1873 (anno della sua deportazione in Nuova Caledonia), è ricco di spunti e riflessioni a tal proposito, nei quali Louise Michel suggerisce quale metodo per la riabilitazione del criminale la colonia penitenziaria. Essa è da considerarsi non come una galera ma come una famiglia, l’ambiente adatto per la nascita di una esistenza nuova. Louise Michel vive la sua stessa esperienza di reclusione con lucidità e spirito di osservazione senza abbandonarsi ad alcuna commiserazione ego-centrata. L’esperienza della prigione viene raccontata e presentata dai passi di  “Memorie, opera dal complesso valore stilistico, dove piano etico, poetico e epico si fondono in un racconto autobiografico dal forte valore testimoniale.

L’incontro con l’altro e il rapporto con l’alterità sono temi che attraversano tutta la vita di Louise Michel ma che in particolare sono centrali nell’esperienza in Nuova Caledonia. In seguito ad un viaggio durato quattro mesi, giunge nella colonia penitenziaria con animo colmo di rinnovata energia, un viaggio che la avvicina al movimento anarchico e che le permetterà negli anni della sua permanenza di raggiungere una certa maturazione politico-filosofica. Trascorre sette anni di feconda relazione con la popolazione nativa all’insegna di un continuo scambio culturale, a tal punto da guadagnarsi l’appellativo di “sorella” da parte dei Canachi. “Leggende e canzoni di gesta canache offrono una lettura antropologica di questa popolazione, mettendo in evidenza il valore della natura e degli elementi naturali.

Quando arriva l’amnistia Louise Michel può tornare in Francia e riprendere il suo impegno a difesa dei lavoratori e delle teorie anarchiche in tutta Europa.  Un ruolo che si sente di dover rivestire anche e soprattutto perché donna, la più schiava tra gli schiavi. Louise Michel inserisce pertanto nel suo discorso rivoluzionario anche il riscatto di genere, in un’ottica di valorizzazione e liberazione dell’umanità intera:

Ovunque, l’uomo soffre nella società maledetta, ma nessun dolore è comparabile a quello provato dalla donna. Nella via, lei è una merce. Nei conventi, dove si nasconde come in una tomba, l’ignoranza la chiude […]. Nel mondo, lei si flette sotto il disgusto. Nella sua casa, il fardello la schiaccia. […] I nostri diritti noi li abbiamo. Non siamo accanto a voi per combattere la grande guerra, la guerra suprema? Che forse voi oserete fare dei diritti delle donne cosa a parte, quando uomini e donne avranno acquistato i diritti dell’umanità?” [..] Io, donna, ho il diritto di parlare delle donne[2].

Il fuoco acceso da Louise Michel non si estingue ma si alimenta nel tempo e nello spazio, passando di generazione in generazione, che ne raccoglie l’eredità e lo alimenta della propria passione. I mitragliati di Satory cambiano nome e luogo, ma restano e resistono. Ecco allora che leggere Louise Michel ci mette in comunicazione con il nostro passato storico in un’ottica fluida e in continuità con esso. Louise Michel ci consegna la fiducia e la speranza che l’agire del singolo possa essere un’incrinatura nello specchio capace di generare nuove possibilità per l’umanità.

[1] L. Michel, É che il potere è maledetto e per questo io sono anarchica, a cura di Anna Maria Farabbi, Al3vie, 2021, p. 44

[2] Ivi, p.  141

http://www.lamacchinasognante.com/e-che-il-potere-e-maledetto-e-per-questo-io-sono-anarchica-testi-di-louise-michel-a-cura-di-anna-maria-farabbi-recensione-di-claudia-nastasi/?fbclid=IwAR07ynpZmDGpwMR1x7BZVuBoQFQ2mvThoF-5HsXeF8bMuZng9WELeoTcTvc

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Il significato del buio

intervista al teologo inglese John M. Hull a cura di Anna Maria Farabbi per la collana Signature di Terra d’ulivi edizioni

FUTURE PUBBLICAZIONI: Jonh M. Hull entrerà nel catalogo Al3viE nel 2022

Sito ufficiale di John M. Hull http://www.johnmhull.co.uk/

Anna Maria Farabbi sta attualmente lavorando alla traduzione del testo In the beginning there was darkness di John M. Hull i cui diritti sono stati acquistati dalla casa editrice inglese SCM. Il libro verrà pubblicato nel catalogo Al3viE nel 2022.

La collana Signature offre un percorso di ritratti dialoganti che ci consegnano intensità di vite e di riflessioni. Ogni protagonista, nella propria specificità, umanamente, politicamente, artisticamente, socialmente, compie con la sua esistenza e la sua opera una testimonianza potente e seminante, controcorrente, motivando sempre e narrando la sua vita altra.

Questo incontro recupera -il verbo recuperare è una cellula verbale, esistenziale, etica, per me imprescindibile – la perla di un’opera corale incentrata sul significato di cecità e ipovisione, intitolata Luce e notte, esperienze dell’immagine e dell’assenza, edita nel 2008, da LietoColle, da me curata assieme a Lucia Gazzino. Voglio ricordare che il libro ospitava anche una delle voci più interessanti del panorama intellettuale e artistico del secondo novecento, Gianfranco Draghi (Bologna 1924, Firenze 2014): poeta, scultore, psicanalista, tra i primi presidenti dell’Associazione italiana di psicologia analitica, dopo la morte del suo fondatore Bernhard, a fianco di Alfredo Spinelli per una cultura europea federalista. Nell’antologia, ho riportato la trascrizione di una delle nostre infinite, lunghissime, amichevoli, telefonate in cui narra la sua esperienza di ipovisione.

Quel libro fu da me voluto per mettere a fuoco un mio percorso personale di ricerca all’interno della sofferenza, dell’handicap psichico e fisico, della diversità in una cultura d’ascolto, cura, arricchimento, crescita spirituale e intellettuale, gesto inclusivo, sociale e politico, di complementarità e solidarietà. L’antologia di apre, dopo la prefazione, proprio con perla di quell’opera, appunto, con la mia intervista a John M. Hull.

La sua parola spalanca le porte del buio.

La riedizione dell’intervista è necessaria, dopo la sua uscita fuori catalogo, perché rivitalizza la qualità della sua sostanza. In Italia, rimane l’unica occasione di incontro con questo straordinario pensatore.

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L’uroboro nell’opera di Anna Maria Farabbi

di Milena Nicolini


Con l’analisi dei due testi Il canto dell’altalena, La tela di Penelope, proposti insieme da Pièdimosca in coedizione con Al3vie, marchio Kaba edizioni, che vengono collocati a scansioni fondamentali della scrittura di Anna Maria Farabbi, si richiamano rapporti significativi con altre opere dell’autrice.

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LOUISE MICHEL: È CHE IL POTERE È MALEDETTO E PER QUESTO IO SONO ANARCHICA

di Gisella Blanco per La città delle donne

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Presentazione de Il canto dell’altalena

di Anna Maria Farabbi

Venerdì 9 luglio 2021, ore 18.30
Anna Maria Farabbi presenta in piazza Birago, presso la libreria Popup, libri spunti e spuntini

Il canto dell’altalena. L’oscillazione della figura tra il gioco e il mito 
Incontro con l’autore e le editrici

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Una nuova pubblicazione all’insegna della co… edizione e della co…llaborazione

Questa prima pubblicazione nella Collana Orto segna e illumina una via importante che si apre con una coedizione fra Al3viE e Pièdimosca (Collana Semi).

Un progetto ricco, unico, speciale all’insegna della collaborazione, fra le due realtà editoriali e la stessa autrice Anna Maria Farabbi, dell’unione e della condivisione delle proprie esperienze, dei valori e di una conoscenza che necessita comunque sempre di un costante lavoro, attento e minuzioso, nel proprio viaggio personale e professionale per accogliere e riconsegnare all’altro, agli altri.

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Attraversare il male

di Nella Roveri dal blog culturale CasaMatta

Può sembrare azzardato e improprio accostare due figure femminili, distanti un secolo, ma, da quando Anna Maria Farabbi ci ha offerto la possibilità di leggere le pagine di Louise Michel, la relazione con Germaine Tillion per me è stata immediata. Germaine nasce due anni dopo la morte di Louise e non c’è traccia nelle sue scritture di una conoscenza diretta della militante anarchica, eppure molto le accomuna: la passione per la conoscenza, lo spendersi sempre in prima persona, l’attenzione per i propri simili e per i più svantaggiati, la detenzione in carcere, nella colonia penale e in campo di concentramento, la capacità di incontrare popoli lontani e di guardare ai loro costumi senza la spocchia dell’occidentale, anzi del francese colto e colonialista. E, in mezzo a molto altro, lo sguardo femminile, quello che non imita mai il modello dominante maschile, ma si pone autentico di fronte alle situazioni, riconosce e agisce la differenza femminile, nell’ordine simbolico materno. Per entrambe, non spose e non madri, la madre è la genealogia degli affetti, una sorta di archetipo del bene e dell’amore, per Louise non privo di conflitto, per Germaine legame di profonda intesa, per entrambe la persona a cui restituire protezione, difesa e senso sacro dell’appartenenza affettiva. “Coloro che non conoscono i rivoluzionari pensano che essi non amino i loro cari, poiché li sacrificano sempre all’idea. In realtà, li amano ancora di più in tutta la grandezza del sacrificio”.

La vita di Louise Michel è dominata dalla parola, la parola d’insegnante che non accetta di giurare fedeltà all’imperatore e crea una scuola sua nella quale mette in pratica i metodi che valorizzano la formazione professionale e personale delle allieve e degli allievi; la parola che incita i compagni di rivoluzione; la parola che risponde altera nei tribunali, affermando la “via della pace”, e quella che si modella su una lingua straniera, considerata primitiva, quella dei Canachi.

Germaine Tillion fa dell’osservare l’azione costante della sua lunga esistenza, più che centenaria: osserva le azioni dei Berberi dell’Aurès nel nord algerino, giovane etnologa sulla scia di Marcel Mauss, entra a Parigi nella Resistenza, viene catturata e deportata a Ravensbrüch. Lì, nascosta in uno scatolone, osserva i movimenti delle deportate che vengono definite verfügbar, le “disponibili”, quelle che con qualche stratagemma riescono ad evitare il lavoro di produzione d’armi alla fabbrica Siemens, e scrive una pièce teatrale tragica e ironica, che le vede protagoniste. Scampata al campo di concentramento e rientrata in Francia si dedica alla storia recente del suo paese, alla resistenza e alla deportazione. Con lo spirito accorto della memoria scrive Ravensbrüch, lo scrive tre volte, ogni volta con una lente più fine, perché nulla sfugga alla sua capacità di cogliere carattere e dettagli. Viene poi chiamata per una missione in Algeria; il suo compito è osservare la popolazione civile e rilevare i segni premonitori della guerra. Al tempo del conflitto algerino pareva necessario schierarsi o dalla parte del FLN o dalla parte dell’Algeria francese. Germaine non accetta un mondo diviso in bianco e nero e si attira la riprovazione di tutte le parti in campo, compresi gli intellettuali parigini che a priori hanno deciso la ripartizione del bene e del male.

Questa idea che una divisione manichea della storia non regge alla prova dei fatti delinea ulteriori fili di affinità: Louise ragiona su coloro che vengono messi ai margini per ragioni di devianza o per problemi psichici e insiste sulla possibilità di un recupero, anche attuando metodi nuovi, basati ad esempio sull’uso della musica. “Ci sono realtà che comprendiamo a stento, perché ne vediamo solo una parte. Strappiamo i veli, troppo lenti a cadere da soli, e la luce verrà.

Servirsi esclusivamente delle forze materiali e lasciare inattive quelle invisibili, che hanno una potenza estremamente maggiore, è un grande errore”

“Per fare questa luce, dice ancora Louise Michel, occorrono due fiamme: la scienza e l’amore per l’umanità”.

Germaine chiama questa luce “passione di capire e tenerezza per i propri simili”. Non esita a lanciarsi in un’indagine sul campo per pacificare il conflitto franco-algerino, incontra i capi delle fazioni nella casbah di Algeri, vuole negoziare una tregua e deve cominciare da quello più disposto a cedere rispetto alla violenza; riesce a ottenere da Yacef Saadi che non venga coinvolta la popolazione civile. Saranno però i francesi a rompere la tregua con tre esecuzioni nelle carceri di Algeri e Germaine pensa che le parti in conflitto siano “due terrorismi faccia a faccia” che si comportano come gli stupidi alci del Canada che si combattono intrecciando le corna e finiscono con il morire immobilizzati. In una simile lotta tutti sono perdenti, non c’è narrazione eroica, solo il racconto tragico dei danni.

E Louise è il suo controcanto: “Quando i greggi divengono minacciosi li si decima nel mattatoio delle guerre”.

C’è poi una vena ironica, uno scarto dialogico, nel rapporto che entrambe hanno con i tribunali e le accuse che vengono loro rivolte.

Louise, davanti al Sesto Consiglio di guerra: “…ripeto che non voglio difendermi. Voi avete il viso scoperto. Anch’io. Vi guardo in faccia. Voi siete il consiglio di guerra, io sono una donna della Rivoluzione sociale! Difendermi… a che scopo? Non cambierei la vostra sentenza. Sono qui nelle vostre mani…”. E Germaine, catturata come partigiana, prima della deportazione, dalla sua cella scrive al presidente del tribunale che le ha appena inviato un atto di accusa che prevede la condanna a morte e confessa in modo ironico di aver praticato la magia, anche se i suoi poteri hanno limiti: “Se questi signori della polizia tedesca hanno realmente perduto la loro innocenza, sono incapace di rendergliela”.

Ma è lo sguardo sul mondo femminile che merita una più accurata attenzione. A Ravensbrüch Germaine osserva il modo che le donne hanno di vivere l’esperienza estrema del campo e nota come la solidarietà si muova anche in quell’ambito, più acuta ed efficace rispetto ai campi maschili, sostenuta dalla cura reciproca sulle ferite del corpo, sulla nudità, sugli esperimenti medici, sulla testa rasata, sul pallore, la magrezza, l’abbandono della volontà. Basta un cucchiaio prestato, un pezzetto di pane e anche il divertimento intorno a un canto proposto e intonato per smorzare il dolore. L’etnologa fa anche qui dell’osservazione la sua pratica consueta, non dissimile dalla capacità di Louise Michel di cogliere la forza delle donne nella battaglia per la Comune di Parigi: “Tra i più implacabili lottatori che combatterono l’invasione e difesero la Repubblica come fosse l’aurora della libertà, le donne sono numerose. …Le donne non si chiedevano se una cosa fosse possibile ma se fosse stata necessaria, solo così riuscivano a compierla”.

E, nei Mémoires, Louise annota “Confesso che ci sarà del sentimento: noi donne non abbiamo pretese di sradicare il cuore dai nostri petti, noi troviamo l’essere umano, stavo per dire la bestia umana, molto incompleto così come è. Preferiamo soffrire e vivere sia nel sentimento che nell’intelligenza”. Ecco che torna quella “passione di capire e tenerezza per i propri simili” affermata da Germaine Tillion, una strada aperta alla riflessione sulla differenza.