di Paolo Gera
… Il canto del poeta non può essere compreso da tutti. Voglio riferirmi a questo punto al nuovo libro di Anna Maria Farabbi, “Il canto dell’altalena-l’oscillazione della figura tra il gioco e il mito”, edito ora da piédimosca e Al3viE, e arrischiarmi a confrontare Braibanti con un personaggio del mito da lei evocato: Tiresia. Due sono le figure legate al dono della poesia come canto: Orfeo e Tiresia, ma “mentre Orfeo affascina, Tiresia è esemplare nella sua magrezza verbale incorruttibile” (ibid. p.52) “Tiresia sostiene il peso della solitudine” (ibid., p.52). Entrambi scrive , Anna Maria Farabbi, hanno in sè come poeti la deità, “Tiresia la rivela in una povertà narrativa, scorticata, lineare”(p.53). Tiresia/Braibanti ha dentro una saggezza accecante e una possibilità di previsione che gli altri, sgomenti, non riescono a comprendere. Tiresia è un personaggio dell’Edipo re di Pasolini ed è facile a questo punto far scattare un processo di comparazione fra i due intellettuali italiani, nel loro non assoggettarsi al potere e in una lingua profetica tanto chiara da risultare oscura a chi fosse già assordato dalla neolingua della comunicazione ufficiale. Quello che Farabbi scrive per Orfeo e Tiresia, io lo riporto per loro: “In entrambi, nessuna quiete, mai, né integrazione con re e popolo.”(p.53)
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